16 aprile 2021

Come si studia all'estero? Storia di una studentessa in Erasmus

Il racconto in prima persona di un'esperienza di studio all'estero

Sicuramente avrete sentito parlare di quanto sia indimenticabile l’esperienza Erasmus, quante feste, viaggi e amicizie si facciano. Ogni giorno sei felice, nulla va storto. Penso anche che avrete sentito dire o che, addirittura, siate tra quelli che “l’Erasmus? Festa tutti i giorni e non studi mai oh!”. Ma è davvero così? Mmm… non proprio! Fatevelo dire da me, che di Erasmus ne ho fatti due e sono pronta a condividere con voi i miei racconti dal fronte.

Chi vi parla? Noemi, studentessa ventitreenne di lingue e reduce da un’esperienza a Vilnius, Lituania e una a Granada, Spagna (o forse meglio magica Andalusia). Fin qui, cari lettori, direte: “eccoci, ci risiamo. Un’altra che vuole raccontarci della sua stupenda vita all’estero, che noia”. Potreste avere ragione, sennonché si da il caso che io sia una ragazza abbastanza oggettiva e realista. Di conseguenza, quello a seguire non è il racconto di un soggiorno all’estero stupendo, dove ogni giorno è più bello dell’altro. È un racconto veritiero, fatto di alti e bassi, così come dev’essere. Iniziamo con l’elemento più sottovaluto di un’esperienza all’estero, ossia lo studio. Infatti, se c’è una cosa di cui nessuno parla mai, è come effettivamente si studi all’estero.

Voglio parlavi della mia seconda esperienza fuori, quella a Granada. Terra millenaria, posto incantato. In questa città da millenni coesistono tre culture: araba, cristiana ed ebraica. Tutto questo si riflette sulla città, sulla sua arte, sulla sua musica, sulla sua gente. Insomma, uno scenario perfetto. Del luogo non ci lamentiamo, peccato che lo studio per una studentessa di lingue all’estero non sia proprio un Carnevale di Rio, specialmente se decidi di dare come esami proprio le lingue. Perché? Semplice: all’estero ti imbatti in un metodo di studio totalmente diverso, più pratico e comunicativo. Gli studenti sono chiamati a mettersi in gioco ogni settimana con vari assignment e lavori di gruppo, funzionali alla votazione finale. Si richiede preparazione giornaliera, non soltanto al momento dell’esame finale. Un metodo sicuramente più vicino al nostro sistema scolastico/liceale che universitario.

Ho avuto l’opportunità di studiare all’Universidad de Granada alla Facultad de Traducción e Interpretación, tra le più prestigiose d’Europa. Tra i vari corsi che ho seguito, quello di Inglese C1/C2 è il più adatto a mostrare a cosa mi riferisco quando scrivo di una metodologia differente. Il corso era orientato allo sviluppo di competenze testuali ma anche comunicative e di public speaking. Ad ogni lezione veniva analizzata una tipologia testuale (testo giuridico, testo economico, testo letterario ecc.), ogni testo era connesso ad un assignment che consisteva nella redazione settimanale di un testo di quella specifica tipologia. Il testo riceveva un votazione in centesimi che poi avrebbe costituito una media finale che avrebbe influito del 40% sulla votazione finale del corso. Ecco, quindi, un primo punto importante: viene premiata la frequenza, l’impegno costante oltre che la sola performance finale, che, a mio avviso, non basta a valutare le capacità di uno studente. Inoltre, all’inizio del corso eravamo stati assegnati ad un gruppo (formato dalla docente stessa) che aveva il compito di presentare una tipologia testuale con un PPT alla classe, ovviamente in lingua. Anche questo costituiva un elemento di valutazione ma, cosa più importante, era anche l’occasione per sviluppare competenze relative al lavoro di gruppo, molto importanti e richieste dal mondo del lavoro. Alla fine del corso, vi era poi il classico esame finale che avrebbe costituito la percentuale maggiore del voto. Questo è il corso che ho deciso di mostrare nei dettagli ma anche gli altri tre che ho seguito si strutturavano sulle medesime modalità. Quello che ci tengo a sottolineare è il fatto che tutto questo permette di approfondire nuovi approcci all’apprendimento delle lingue straniere e di far parte di un sistema dove lo studente è elemento attivo della classe, chiamato a dare il proprio contributo, anche sbagliando.

Perché vi ho racconto tutto questo? Per dimostrare come l’esperienza Erasmus non sia solo vida loca: studiare all’estero significa acquisire nuovi strumenti e metodologie di studio, significa andare oltre le proprie abitudini in favore di un nuovo sistema. Trovo che questo aspetto sia molto sottovalutato e che se ne parli troppo poco. Spesso, anzi quasi sempre, mi capita di sentirmi dire “ma che in Erasmus? Non avrai studiato per sei mesi, facile così eh!” Vi assicuro, miei cari lettori, che ogni esperienza va da sé. Vero, i casi in cui lo studio è un lontano ricordo esistono ma il tutto varia da facoltà a facoltà, da metodo a metodo, da studente a studente.

Quindi, concludo rivolgendomi a voi, studenti e studentesse di lingue: l’apprendimento all’estero è, a mio avviso, tappa necessaria nel proprio percorso, per un’interiorizzazione più consapevole della lingua straniera. Si cresce, non è tutto rose e fiori come ve lo descrivono ma sicuramente è un’esperienza aggiunta al vostro percorso e al vostro curriculum.

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